Virginio, vetraio di giorno e musicista di notte

Ha aperto il tour con un nuovo batterista, Massimo Bubola in concerto sabato al Centro Candiani di Mestre. E’ Virginio Bellingardo, mestrino, 43 anni, in gran parte vissuti a Campagna Lupia, nel veneziano. «In realtà, potrei essere uscito da un film di Ken Loach».
Comincia così: «Mia nonna lavorava come cuoca in un campo di concentramento». La signora Galeazza era infatti andata in Germania in cerca di lavoro, come tanti italiani. Si è ritrovata in Polonia, in un angolo di inferno. I suoi due figli sono nati là. Così, anche se tutti la chiamano Lucia, la madre di Virginio si chiama Czeslawa, nata alla vigilia della fine della guerra. A qualche giorno dalla Giornata della Memoria è «impossibile non pensarci», dice lui.Virginio Bellingardo, musicista lo è da sempre. In realtà fa il vetraio. «Ho cominciato a suonare a 13 anni. Mi ha convinto un coetaneo, vicino di casa. Era uno dei più scalmanati, eppure suonava impeccabile il fricorno baritorno». A Campagna Lupia, infatti, il sindaco musicista Adelino Marchiori aveva messo in piedi una banda popolare. Tutti fiati e percussioni. «A vederci, forse, nessuno ci avrebbe scommesso una lira – racconta Virginio – ma eravamo una delle migliori orchestre jazz. Suonavamo le musiche delle big band americane degli anni ’50, Duke Ellington, Benny Goodman». Un sindaco a suo modo geniale. L’orchestra gli è sopravvissuta e ora capita anche di vederla esibirsi con Cheryl Porter.
«I primi anni li ho vissuti a Macallé, che a Mestre, per lungo tempo, è stato un quartierino bello tosto. A Campagna Lupia, invece, abbiamo trovato casa in via Salvo D’Acquisto, che allora era un bel mix di casi sociali e gang di ragazzotti».
I suoi primi lavori sono stati in un laboratorio tessile, tagliando costumi da bagno griffati sotto il più famoso dance-hall degli anni ’80, il Cotton Club. Il vetro è arrivato dopo, prima con Guido Farinati, uno dei più importanti maestri veneziani di vetrate artistiche. Poi un tentativo difficile di mettersi in proprio e la collaborazione con la fornace di Hans-Peter Neidhardt.
Virginio tira fuori dei vinili. «Il mio primo gruppo si chiamava ‘Agitation Repart’. Eravamo in piena new wave, tra gli anni ’80 e ’90, con i Simple Minds e i Cure in testa». Le tante band giravano allora i locali come il Tag a Mestre, le feste dell’Unità e le birrerie della provincia. Un gran fermento: «Ci pagavano 300 mila lire. A dire il vero, non pagano molto di più ora».
Con i ‘Definitive Gaze’, la voce di Sandro Crivellari e il basso di Maurizio Celan è stato un piccolo successo. «Con noi ad un certo punto c’era anche Andrea Manzo, bravissimo, poi voce dei ‘Farenheit 451’. Abbiamo registrato due ellepi. Un brano è finito nel film “La chiesa” di Dario Argento. Una volta siamo sbarcati al Rolling Stone di Milano, spalla di gruppo inglese che allora andava molto, ‘The Charlatans’».
Così, di giorno Virginio era a far vetrate “a piombo” e di notte a provare alla Banchina Molini di Marghera, fare serate di cover e girare con i rock-folk ‘Revolution’. E addio a creste e al dark-dressed. Tre anni fa ha musicato, con la fisarmonica di Michele Tiegno, un film muto del 1918 per il festival di corti Circuito Off a San Servolo. Un esperimento che si è trasformato l’anno scorso, visto il successo, in un vero e proprio progetto con i ragazzi musicisti della Sala Monteverdi, altro luogo caldo sul fronte sociale in pieno centro a Mestre. «Ve l’avevo detto che sono stile Ken Loach». E ora l’incontro con Bubola.

Corriere del Veneto

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